di Mike Bushong, Senior Director of Strategic Marketing at Juniper Networks
Molte delle discussioni che ruotano intorno all’automazione si focalizzano principalmente sugli strumenti ad essa connessi. Ci sono innumerevoli esempi di utenti che sponsorizzano una determinata API piuttosto che un particolare framework. Esistono template, ricette, schemi di gioco o ancora intere librerie e repository GitHub. Tuttavia finché non si affermerà l’importanza della centralità del ruolo che l’integrazione riveste nei processi di automazione, l’impatto potenziale dell’automazione stessa non potrà che risultarne limitato.
Definire i flussi di lavoro
L’automazione riguarda innanzitutto i flussi di lavoro e l’identificazione precisa delle singole operazioni di cui si compone. A ciò si aggiunge un ulteriore elemento di complessità: la grandissima maggioranza dei workflow non è, infatti, confinata nella rete, ma ha tipicamente inizio all’interno della rete per poi concludersi con qualche passaggio di validazione all’esterno.
Il ruolo dell’integrazione
L’IT si occupa sempre più dell’infrastruttura in toto e sempre meno dei singoli elementi. Infatti, il nuovo ecosistema si basa sull’assunto che applicazioni semplici e distribuite possano essere orchestrate all’interno di un’infrastruttura complessa composta da computer, storage, networking e dalle applicazioni stesse. Queste applicazioni necessitano di un’infrastruttura flessibile che sia in grado di gestire il cambiamento. Ma attenzione! Se questo cambiamento richiede il coordinamento di risorse, che includono sì la rete ma non si limitano solo a quella, allora la mera automazione di rete da sola non sarà più sufficiente.
In pratica, l’integrazione è indispensabile quando due o più risorse agiscono in maniera coordinata per completare una determinata operazione. Se questa operazione deve essere automatizzata, allora l’automazione del workflow deve riguardare tutti gli attori integrati. Se, invece, il workflow non è automatizzato, l’integrazione non sarà necessaria.
Non uno, ma tanti
L’integrazione tra la rete e l’infrastruttura circostante non consiste solo nel selezionare un singolo strumento ed eseguire su di esso una qualche forma di integrazione. Se consideriamo inoltre che lo scenario dell’infrastruttura IT presenta una moltitudine di strumenti ognuno con differenti fan e se a ciò si aggiunge il fatto che la rapidità del cambiamento nel mondo dei tool supera di gran lunga la rapidità di cambiamento che interessa gli apparati sottostanti, è impossibile prevedere con certezza quale strumento si affermerà sugli altri. Un possibile scenario è un mercato molto frammentato, con gruppi di utenti che si orienteranno su uno in particolare in base alla propria nicchia di mercato o, più semplicemente, ai suggerimenti dei colleghi.
Automazione + integrazione
Il reale valore strategico per gli operatori risiede nell’attuazione di una strategia che includa una combinazione di entrambe. Infatti, a livelli alti, ciascuna delle due strategie se presa singolarmente non ha un impatto concreto sull’infrastruttura sottostante. La comunità del networking ha spinto sul tema dell’automazione per moltissimo tempo. Ma quando si interrogano gli utenti su cosa sia successo in questo campo negli ultimi anni e a che livello si collochino in termini di automazione generale, la maggior parte ritiene di essere appena sopra il livello del normale utilizzo della linea di comando classica.
L’automazione di rete da sola non è più sufficiente.
Quando si parla di automazione di rete, i flussi di lavoro a cui si pensa immediatamente sono quelli di provisioning. In questo ambito, però, non vi sono workflow standard che siano applicati in maniera diffusa e in modo uniforme a seconda dei diversi tipi di implementazione. Ciò significa che l’automazione di rete incentrata sui flussi di provisioning offre relativamente poche opportunità di apportare dei miglioramenti concreti.
Inoltre, il numero di workflow di provisioning utili diminuisce quando si è di fronte a flussi legati solo ed esclusivamente alla rete. Vale a dire che, se si prendono in considerazione solo i workflow che hanno origine nella rete, il numero totale è così basso da domandarsi se l’automazione di rete abbia o meno impatto nel mondo reale.
Monitoraggio e troubleshooting, non provisioning
La realtà è che la maggior parte dei flussi di lavoro da automatizzare (almeno inizialmente) non sono probabilmente legati al provisioning, ma piuttosto al monitoraggio e alla risoluzione dei problemi. In termini di volumi, infatti, nella vita di un operatore di rete, le attività di operations superano di molto quelle di provisioning, senza contare che le prime sono quelle che tendono a essere eseguite di più anche per necessità.
Vale la pena notare come, in realtà, i workflow di monitoraggio e troubleshooting non siano poi così diversi dai workflow di provisioning poiché, allo stesso modo, raramente questi flussi hanno origine e termine all’interno della rete. Difatti, quasi sempre è necessaria qualche informazione esterna: potrebbe essere un packet sniffer, un analizzatore di flussi o anche uno strumento per il monitoraggio delle applicazioni. Qualunque sia il tool, il punto è che il workflow richiede scambi di contesto tra la rete e l’esterno della rete.
Aggiungere integrazione
Quando la rete è isolata, l’automazione è interessante ma non fa necessariamente la differenza, soprattutto nel generare opportunità di mercato. Quando, invece, si cominciano ad aggiungere altri strumenti e un contesto di infrastruttura, allora l’automazione diventa davvero cruciale.
Si immagini un’infrastruttura che comprenda vari tool, ciascuno dei quali è una fonte di dati. In base alle informazioni provenienti da questa sorgente, può essere scatenata una certa azione in un’altra parte dell’infrastruttura. Così, se le prestazioni di un’applicazione diminuiscono, l’utente potrebbe voler catturare uno snapshot dello stato operativo nella rete. In questo caso, un evento di monitoraggio individuato da una app per il monitoraggio delle performance applicative lancerebbe un workflow di troubleshooting che verrebbe eseguito sui dispositivi della rete.
Effetti di rete
Quando si parla generalmente di effetto della rete, ci si riferisce all’ “effetto che un utente di «qualcosa» ha rispetto al valore di quel «qualcosa»”. Per capire cosa intendiamo quando parliamo di “effetto di rete”, prendiamo spunto da un esempio in ambito tecnologia. Piattaforme come Twitter e Facebook acquistano valore per ciascun individuo che le utilizza man mano che nuovi utenti entrano a farne parte, il che, a sua volta, attira altri nuovi utenti che aumentano con un effetto a catena il valore che la piattaforma riveste per ciascun utilizzatore.
Questa stessa dinamica si ripete anche nel caso dell’automazione di rete e dell’integrazione. Più c’è integrazione, più è alto il valore dell’integrazione stessa. Ciò significa che lo spazio dell’automazione di rete sarà servito al meglio da un gran numero di piccole integrazioni che estendono il potenziale raggio d’azione dell’automazione a un numero sempre crescente di workflow.
Il risultato finale
Nel momento in cui l’industria inizia a spingere in maniera aggressiva in direzione dell’automazione, si presenta un’interessante domanda per gli utenti: da dove iniziare?
Storicamente la risposta sarebbe stata l’automazione di attività di provisioning pronte all’uso. Ora e nel prossimo futuro la risposta dipenderà dall’insieme dei tool a disposizione di una data azienda. L’automazione dovrebbe iniziare vicino all’utente e ciò significa che questi tool dovrebbero essere il punto di partenza per una discussione sensata sull’automazione. Il che naturalmente implica che il lavoro sull’automazione dia all’integrazione la stessa importanza che oggi riveste l’automazione.